venerdì 8 luglio 2011

Parma - La piazza del Comune



In viaggio in treno. Stazione di Modena. Un'amica si siede accanto e mi chiede se ho sentito degli arresti avvenuti a Parma. Non ne so niente, è ancora mattina. Le notizie sono diverse e vaghe: 12 arresti... 11 arresti... alcuni consiglieri... il comandante dei vigili... il direttore di Iren.


Basta accendere il computer per avere le vere notizie: 11 arresti per tangenti tra cui il comandante dei vigili, due consiglieri comunali, un dirigente comunale in una società partecipata (Infomobility) e sei imprenditori (tra i quali il direttore di Iren).

Altra notizia: convocato il presidio sotto il Comune il pomeriggio stesso, gli Indignati di Parma.



Arrivo con i miei compagn*, in mezzo a tanta frenesia, cori, urla, cartelloni, colori, bandiere, megafono, voci e mi guardo attorno.

La piazza è una piazza nuova. E' una piazza che si autoconvoca. Una piazza "meticcia", figlia dell'indignazione delle anime più diverse. Una piazza in cui sono presenti non solo partiti, associazioni, movimenti (alcune facce le riconosco, le ricordo nei comitati referendari), ma anche e soprattutto persone mosse semplicemente dalla rabbia e dalla necessità di dire basta allo scempio messo in atto dai poteri forti, barricati nelle loro torri d'avorio e nei palazzi di potere, responsabili della crisi economica e morale che è sotto gli occhi di tutti.

Chiudo gli occhi e respiro. Ho sempre pensato che Parma fosse una sorta di bomboniera confezionata in un tulle di perbenismo, che come un velo di Maya avvolgesse le menti dei più, cullandole in una sensazione di artificiale benessere. Un'abominevole serenità, un'atarassia sospetta, che impediva di vedere il disastro che quotidianamente cresceva davanti agli occhi di tutti: una periferia devastata da palazzoni in costruzione, abbandonati da imprese fallite, ipermercati e aree commerciali che, nell’accavallarsi l’una con l’altra, sono artefici della devastazione ambientale. Grandi opere inutili, come la fallita costruzione della metropolitana. Sperpero di danaro pubblico, tangenti, edifici all'abbandono, affitti esorbitanti...

Chiudo gli occhi e per la prima volta respiro in questa piazza. Respiro la collettivizzazione di un malessere che sfocia in rabbia. Per la prima volta sento che tutti, in quella piazza. hanno gli occhi aperti sulle loro vite, e sono pronti a lottare uniti per la riconquista del bios in quanto bene comune, superando la voragine di una guerra tra poveri che fortifica gli interessi dei pochi incastrandosi nelle crepe di una società sempre più frammentata.

Mi rendo conto che questo è un piccolo specchio di quello che sta succedendo a livello nazionale e transnazionale. Un riflettore puntato sulla crisi di una governance oligarchica che si barrica dietro le istituzioni per sottrarre spazi, tempi, diritti.

E ciò che risuona più forte in quella piazza è lo scollamento tra le istituzioni e la collettività che da esse dovrebbe essere rappresentata. Questo abisso tra le due parti, è recintato da un cordone di poliziotti in tenuta antisommossa a protezione della torre d'avorio in cui dovrebbe tenersi il consiglio comunale.

La metafora perfetta. Un sistema che è messo sotto scacco da una piazza che vuole riappropriarsi di ciò che è suo e che chiede spiegazioni, ancora una volta risponde con la militarizzazione della piazza. L'istituzione di un'ennesima zona rossa. Zona rossa come privazione sistematica dei diritti a partire da quello di manifestare e protestare.

E' una questione di geometrie: l'occupazione militare di un territorio, la recinzione dei palazzi di potere tramite forze dell'ordine, la riduzione degli spazi di socialità ai luoghi di consumo, la creazione dei confini nazionali, l'istituzione dei CIE.

Perimetri. Stabilire perimetri così da poter definire automaticamente il profilo, su scala gerarchica, di chi ci cade dentro.

Ma oltre alle divise, ai caschi e agli scudi, alla repressione della protesta e alla violenza dei manganelli di fronte a domande legittime, quella piazza ha visto esprimersi con forza la volontà di costituirsi come alternativa concreta.

Per questo, nonostante la rappresentazione mediatica binaria della realtà, volta a dividere il contesto sociale della piazza in buoni e cattivi, "facinorosi" e "indignati legittimi", il 5 Luglio la piazza si è ritrovata ancora una volta gremita di gente, per delegittimare il Consiglio Comunale come momento della decisione politica affidata ai corrotti e trasformare quella piazza in uno spazio altro, tra le istituzioni e la “società civile”.

Uno spazio pubblico intermedio, che ha posto le singolarità della moltitudine, frammentata da decenni di politica asservita ai giochi di potere, mobile e disorganizzata, dinanzi alla decostruzione delle istituzioni e alla ricomposizione di legami sulla base delle tematiche sociali anziché degli interessi lobbistici.

Quello stesso processo che ha visto la nascita della "Libera Repubblica della Maddalena", dove le differenze (politiche, sociali, etc...) rappresentano un valore aggiunto, piuttosto che uno spauracchio da cui tutelarsi. In cui la lotta per il bene comune violentato dalla gestione mortifera delle istituzioni, ha rappresentato un punto d'intersezione saldissimo, portando alla legittimazione, da parte di tutti i soggetti coinvolti in questo grande processo di declinazione diretta della democrazia, di tutte le pratiche di lotta emerse in quel contesto.

Anche a Parma forse, come in Spagna e in Grecia, la straordinaria trasversalità della composizione di quella piazza che ha messo in discussione gli schieramenti partitici, può essere interpretata come un primo passo di un lungo cammino verso la salvaguardia della propria auto-organizzazione reticolare, non-gerarchica, orizzontale, il mantenimento di spazi comunicativi autonomi e di azione collettiva.

"Un’Europa tutta da inventare prende forma mentre i suoi governi tentano di arginarne le geometrie"

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