Uno spettacolo di e con Carla Vitantonio
“…nei passati otto anni ho fatto, in ordine sparso e ripetutamente, la cameriera al banco, la barista, la venditrice di multiproprietà, la valletta, la telefonista, la baby-sitter, l’insegnante privata, la segretaria, l’impiegata, la bibliotecaria, la commessa, la distributrice di giornali, la distributrice di volantini, la distributrice di gadgets, la cavia al dipartimento di psicologia, la redattrice, la promoter nei supermercati, il capro espiatorio in un’ufficio particolarmente problematico, l’interprete, l’esperta (o quasi) di consumo sostenibile, la donna sandwich…”
Otto è uno spettacolo che rivendica il diritto a chiamare le cose con il loro nome. Otto non usa la dicitura car@ per indicare entrambi i generi. Otto non crede alle pari opportunità, ma ci spera. Otto non parla di flessibilità ma di precarietà strutturale. Otto non è autobiografico, però nasce dall’osservazione del reale.
Otto è in bilico.
Che se un contratto regolare è un favore, se una casa (e non una stanza) in affitto è un privilegio, se una casa di proprietà è un lusso sfrenato, incazzarsi, almeno, sarà un diritto?
Storia di Otto
Dopo una lunghissima gestazione durata sei anni nasce Otto, un duetto di voce e musica quasi interamente composto da me, con brevi inserti tratti da scritti di Pazienza e Lanzetta.
Si tratta, probabilmente, di uno spettacolo sulla crescita, sul passaggio dall’adolescenza in cui tutto è possibile e perfettibile a un’età adulta in cui siamo quello che siamo, percepiamo la nostra incapacità di controllare e decidere tutto quello che accade e per questo spesso maturiamo un senso di rabbia e di impotenza che è poi il nodo dal quale si sviluppa Otto, questo sentimento di incomprensione, di impreparazione, di disappunto. Al tempo stesso Otto, che è stato partorito proprio nel cuore del modello produttivo del nordest, è anche una riflessione su questo modello, questo modello che secondo me proprio non funziona, che a furia di imporci di essere “disponibili al cambiamento” ci fa dimenticare quale faccia avevamo prima di cominciare a trasformarci, questo modello che sforna termini nuovi, che trasforma la sintassi senza trasformarne il contenuto: la cultura le culture la differenza le differenze le diversità l’integrazione l’inclusione e poi?
Tecnicamente lo spettacolo si sviluppa sulla falsariga di un modello molto semplice, quello del monologo (e non tanto quello del racconto, che secondo me è un’altra cosa). La musica, che inizialmente era pensata come un accessorio, quasi come un lusso, è diventata con il susseguirsi delle repliche una parte fondamentale dello spettacolo, e la figura del musicista ha preso una forma definita all’interno della drammaturgia. Le musiche sono originali.
Insomma, tecnicamente non si tratta di uno spettacolo innovativo, perchè io sono fermamente convinta che questo non sia il tempo delle innovazioni tecniche a teatro. Anzi, io temo che la troppa, elaborata, esasperata (e pure un po’ snob) ricerca dell’innovazione tecnica possa farci perdere di vista il contenuto.
Insomma, tecnicamente non si tratta di uno spettacolo innovativo, perchè io sono fermamente convinta che questo non sia il tempo delle innovazioni tecniche a teatro. Anzi, io temo che la troppa, elaborata, esasperata (e pure un po’ snob) ricerca dell’innovazione tecnica possa farci perdere di vista il contenuto.
Come in tutte le epoche di grande crisi economica e sociale bisogna forse ritornare all’essenziale, ecco, e io ci torno, I come back, eu volto.
That’s all folks.
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Giovedì 30 giugno
aperitivo ore 19
inizio spettacolo ore 21
@ Art Lab - Atelier Precario Occupato - Borgo Tanzi 26 - Parma
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